I 60 NOMI DELL'AMORE

di Tahar Lamri

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  1. maga2004
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    Tahar Lamri
    I sessanta nomi dell'amore
    Fara editore, 2006
    pagine 180 Euro 15,00



    Tahar Lamri
    I sessanta nomi dell'amore
    Traccediverse, collana"Mangrovie", 2007
    Euro 12,00


    "Per me, scrivere in Italia, paese dove ho scelto di vivere e con-vivere, vivere nella lingua italiana, convivere con essa e farla convivere con le altre mie lingue materne (il dialetto algerino, l'arabo ed in un certo senso il francese) significa forse creare in qualche modo l'illusione di avervi messo radici. Radici di mangrovia, in superficie, sempre sulla linea di confine, che separa l'acqua dolce della memoria, da quella salata del vivere quotidiano" (Tahar Lamri, dalla Prefazione)


    Questo libro è un gesto d’amore (anche per la nostra lingua) di un autore algerino che conosce bene il nostro paese (e non solo). Molte le declinazioni di questa forse abusata parola: amore per gli incontri, per la vita, per il mondo e i linguaggi (le culture) che lo interpretano; amore per la condivisione, lo scambio, il nuovo, il punto di vista spiazzante…
    Il dialogo che Lamri ci propone è una sorta di rapporto amoroso e la scrittura ne è un po’ il certificato: se il linguaggio non produce ascolto, se non viene accolto, introiettato, resta sterile, non porta più la voce da nessuna parte, il pellegrino è fermo (in senso positivo ciò può significare che è giunto alla meta, in senso negativo – da non intendersi in senso moralistico – che non ha più energie, oppure che ha bisogno di silenzio per ricaricarsi e continuare il suo cammino). (dalla nota editoriale)


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    Un libro sulle parole questo, nel quale si percepisce un’attenzione particolare e speciale nella scelta dei vocaboli; leggendolo ci si ritrova in cammino verso le parole, parole d’amore, parole d’incontro, capaci anche di costruire un ponte tra culture lontane. Il vertiginoso amore di Elena e Tayeb si intreccia con i racconti che l’autore ci regala, storie che si portano addosso il profumo intenso e speziato del vento nordafricano e che sono una dichiarazione d’amore nei confronti della nostra lingua, l’italiano che Lamri ha scelto di abitare, che è diventato l’universo linguistico nel quale raccontare e raccontarsi. “…La scrittura consuma le mie parole e l’amore ha bisogno di silenzio e di raccoglimento, ecco perché alla voce rimane poco. Ma con te so di poter parlare, è una libertà inedita per me. Sei tornato da me, non ti ho incontrato. Sei tornato alle mie labbra ed alla curva del mio collo, il tuo profumo mi ha accompagnata nel sonno ed era là quando mi sono svegliata.” Tahar Lamri (Algeri 1958) proviene dalla quella “riva meridionale del Mediterraneo” tanto feconda di grandi scrittori. Nel 1979 dopo aver compiuto i suoi studi in legge, ha lasciato l’Algeria e si è spostato in Libia dove ha lavorato come traduttore presso il Consolato di Francia a Bengazi fino al 1984. È arrivato in Italia nel 1986 dopo aver vissuto in Francia e in altri paesi europei. Tahar Lamri è traduttore e interprete, scrittore, narratore e saggista. Ha partecipato a molti seminari e convegni sulla letteratura della migrazione e sul multiculturalismo in genere, e di alcuni ne è stato diretto coordinatore e promotore. Organizza e prepara attività teatrali, o meglio di narrazione, e con i suoi testi Il pellegrinaggio della voce e Tuareg gira il mondo per incontrare persone e far conoscere la sua letteratura. Nei suoi scritti sa far convivere linguaggi diversi e lontani; il ruvido dialetto della pianura padana e le voci dei cantastorie del nord Africa, la cultura millenaria del mondo arabo e le parole di quest’Italia in divenire… Scrivere in italiano ha per lui il senso, salvifico per l’idioma, della liberazione e contaminazione con le altre sue lingue (l’arabo, il dialetto algerino, e, in un certo senso, il francese). La scrittura è il suo pellegrinaggio verso questa lingua inedita, sottratta con forza al balbettio e finalmente “messa su carta”, divenuta parola r-esistente. Di fronte a questa c’è lo stupore di rintracciare così tanti echi di altri idiomi, i quali ci parlano di un meticciato culturale ormai sempre più ineludibile e necessario.

     
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